Progetto Demos: "Dalla necessità alla Virtù"

OGNI UOMO HA UNA SUA LETTERATURA, SONO I SUOI RICORDI

Di Giovanni Osella

 

   Oggi è il 24 aprile 2020, vigilia della Festa della Liberazione, e anniversario del mio matrimonio. Sono trascorsi decine di lustri e mia moglie è ancora accanto a me nella buona e nella cattiva sorte.

   Era un bel giorno di primavera quando la caricai nella mia macchina e la portai su, in alto, su quel cocuzzolo dove era collocata la piccola chiesa di Diano d’Alba.

   È stato un matrimonio come si potrebbe celebrare in questo periodo di massime restrizioni e divieti di assembramenti: con genitori, fratelli e sorelle compreso il prete Don Rossi che mi ero portato dietro, eravamo in quindici.

   Sin da giovane, sono sempre stato una pecora nera, andavo controcorrente, amavo il silenzio, la tranquillità e l’intimità, ero contrario al rumore della musica psichedelica delle discoteche, preferivo il suono di un violino dal quale uscivano melodie.

   Mentre guidavo su per le curve che mi portavano verso l’altare, con la mia Marilena ventenne, ero sempre più convinto di avere accanto una persona eccezionale, una ragazzina che subito aveva acconsentito al mio strano modo di concepire un evento così importante. La sposa in primo luogo, poi i parenti, e gli amici sempre avrebbero voluto festeggiare con un grande numero di invitati, con pranzi, musiche e balli, per infondere allegria a quell’evento così eccezionale.

   Ho voluto sposarla in quel paesino della Langa dove l’avevo conosciuta, dove una domenica d’agosto di due anni prima la vidi seduta su un piccolo ponte con altre sue amiche. Fermai la macchina e mi avvicinai ma lei subito si mise a correre verso casa timorosa di quell’uomo che forse voleva importunarla, lontana anni luce nel prevedere la giornata che stava ora vivendo.

   A pranzo, in quella piccola trattoria, dove lo chef era pure il barbiere del paese, eravamo sempre in quindici compreso Don Rossi, mio professore del collegio Salesiano.

   La portai in viaggio di nozze in Svizzera, in un piccolo paese in riva al lago, Vitsnau, dove restammo una settimana.

  Una settimana in un minuscolo Hotel che era dotato di un jukebox dal quale, la voce di Gilbert Becaut diffondeva le struggenti note di “et maintenant”.

   Questa mia dolce creatura, da ormai dieci anni convive con l’Atzheimer e da oltre cinque alterna il letto con la sedia a rotelle.

   L’ho tenuta con me sempre, assistita giorno e notte, coccolata da persone che le vogliono bene. Non riesce a proferire parole o esprimere momenti di emozione se non in rare eccezioni.

   Questa grave epidemia mi ha costretto, considerata la fragilità sua e mia, a limitare le visite e i contatti, delegando l’assistenza ad una sola persona, Maura, lasciando momentaneamente a casa fisioterapista, assistenti di notte, figlia e nipoti miei.

   Mi alterno con Maura per le ore del giorno e della notte, e come succede alla maggior parte delle famiglie dove le persone sono costrette a starsene a casa, si riscontra intensa la gioia del contatto con i propri famigliari che i vari impegni quotidiani avevano diluito nel tempo.

   Il disagio di alternare le ore di sonno con periodi di veglia viene compensato dall’osservare quei due occhi che possono essere chiusi nel sonno, oppure aperti nel fissare il vuoto oppure, per magia, in rare occasioni, incrociarsi con i tuoi, come poteva succedere nei primi anni e atteggiare il viso con un sorriso speciale, che ti fa provare un’emozione indescrivibile, come il ritorno a te di un amore che credevi di aver perso per sempre.


  pubblicato il 12/06/2020
  Giovanni Osella,

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