Progetto Demos: "Dalla necessità alla Virtù"

WU, IMPORTATO DALLA CINA

di Sabrina Angelini

   Il negozio di Margherita, che già conoscete, si affacciava su una Piazza Verdi che veniva utilizzata per il mercato settimanale della città. Per essere completamente onesta i ricordi qui si fanno meno nitidi, ma lui non era certo dimenticabile. Al centro del mercato, accovacciato a terra come una dama dell’ottocento, con la sua crinolina fatta di coperchi di tutte le forme, troneggiava Wu “lu cinas” (il cinese).

   Wu era, evidentemente, un connazionale di Mao Zedong lo si notava dalle sembianze ma soprattutto dall’ostinata caparbietà nell’indossare la tuta che tutti i suoi connazionali in patria sicuramente indossavano. Il colpo d’occhio era che la sua tuta si estendeva ai suoi coperchi o i suoi coperchi erano un’estensione della tuta e la mia giovane immaginazione importava i coperchi direttamente dalla Cina oppure lui stesso era un pendolare dei coperchi.

   Un pioniere di un certo calibro in una città di provincia dal piglio borbonico come Teramo, in anni in cui era inimmaginabile la diffusione del commercio cinese e l’espansione capillare della tecnologia “Made in China”, per non parlare dei coperchi.

Avesse venduto le diavolesche pentole questo asiatico politicamente schierato sarebbe stato tutto più limpido, ma i coperchi destabilizzavano e la scelta della posizione baricentrica nella piazza confondeva ancora di più.

   Ricapitolando: un cinese con la tuta di Mao al centro della piazza del mercato di Teramo nei primi anni settanta sembra l’inizio di una storiella ma la realtà batte sempre la fantasia. Molto prima degli involtini primavera, dell’abbigliamento a buon mercato e dell’elettronica cheap erano arrivati certi utensili da cucina. Molto prima che Wuhan diventasse il centro del mondo, a causa della pandemia, e che scoprissimo quanto fosse grande e popolosa, nonché mèta di molti occidentali, Wu occupava il suo posto al mercato.

   Mi sono sempre chiesta se portasse la tuta per granitica convinzione, massacrante nostalgia mista alla consapevolezza che difficilmente sarebbe tornato in patria oppure, semplicemente, per darci quello che volevamo: rappresentava esattamente il cinese della nostra immaginazione, in quegli anni non saremmo stati mai capaci di immaginarcelo diversamente.

   Wu era un’anima pacifica, umile e lavoratrice. Proveniva da una remota e poco conosciuta regione della Cina e parlava un dialetto che non ha trasmesso agli eredi. Paludato nella sua tuta che, con il passare del tempo, diventava più larga, abitava in periferia con la famiglia. Il figlio è un insegnante elementare. Il suo aspetto incuriosiva tutti: era il primo e, all’epoca, unico esemplare di abitante della Cina che avessimo mai visto prima. Conosciuto, additato, osservato da tutti, nessuno escluso, dileggiato dai ragazzini. Ciò nonostante, nel suo settore si era guadagnato la fiducia della cittadinanza: se il coperchio non ce l’aveva Wu vuol dire che non era stato ancora inventato, acquisita tale credibilità decise di aggredire il mercato aggiungendo come articolo casalingo i mestoli e riscuotendo un certo successo.

   Il figlio, il “maestro cinese che non parla cinese” come lo chiamavano gli alunni, agli inizi degli anni novanta disse che avevano “ritirato dal mercato” il padre per raggiunti limiti d’età e problemi di salute, non senza vibrate proteste da parte sua.

   Non si è mai saputo il nome di Wu che, abbiamo scoperto, era il cognome. Alcuni sostengono di averlo visto in giro per Piazza Verdi vestito in abiti occidentali: camicia a righe, pantaloni grigi; io però non ci ho mai creduto.

   A proposito, le mascherine distribuite dalla Regione Abruzzo, a tutti gli abitanti del territorio regionale, sono Made in China. Fanno quello che fanno i coperchi: proteggono.


  pubblicato il 08/05/2020
  Sabrina Angelini,

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