Progetto Demos: "Dalla necessità alla Virtù"

PANDEMIA

di Susanna Sacchi

    Lei attraversava un brutto periodo. Un gennaio quello del 2020 per lei triste. Lo sapeva in cuore suo, sapeva ma negava l’evidenza. La malattia genetica di sua madre si stava manifestando certo in maniera più lieve ma chissà come si sarebbe sviluppata in seguito. Del resto, lo sapeva gli anni venti non portano bene. Oramai era chiusa in sé stessa parlava poco anche con il marito che cercava in tutti i modi di tranquillizzarla e coccolarla e così anche i parenti e gli amici.

    Così decideva di andare al canile e adottare due splendidi gatti uno tigrato con una coda stupenda che chiamò Sole e l’altra nera occhi dolcissimi che chiamò Luna. Li adottava proprio il 23 febbraio, giorno di inizio di una pandemia che per sempre avrebbe cambiato le nostre abitudini, la nostra vita e i rapporti umani.

    Niente sarebbe stato lo stesso da quel giorno. Da quel giorno sarebbe cambiato tutto e ancora non si aveva la percezione di cosa stesse accadendo.

 

Inizio della preoccupazione.

    Lei si era recata al nord il 20 febbraio, due giorni dai parenti e sul treno freccia rossa si incominciava a percepire una leggera tensione.

    Le persone preoccupate evitavano i contatti per quanto possibile. Una ragazza ogni cinque minuti si lavava le mani con un detergente quasi a sfatare più la tensione che il virus stesso.

    E si proprio così, un piccolo microscopico virus stava minando la vita e la libertà di tutti.

   Lei ritornava al lavoro pensando che la cosa si sarebbe risolta in breve tempo e sarebbe stata circoscritta nella zona lombarda invece proprio quel fine settimana l’epidemia di colpo prendeva il sopravvento. Il virus si spandeva a macchia d’olio.

    Al suo rientro al lavoro, le persone che sapevano che si era recata a Torino la trattarono come un’untrice e la evitavano come se avesse la peste bubbonica.

 

La tensione sale.

    Ma lei era consapevole di non essere ammalata, almeno non di quel male, non aveva frequentato nessuno a parte i parenti. Poi che ne poteva sapere di cosa sarebbe successo.

    La tensione sul lavoro cresceva si poteva tagliare nell’aria. I volti tesi, la preoccupazione e paura oramai si erano impadronite di tutti noi.

    Ognuno guardava l’altro con diffidenza e sospetto. Loro che tutte le mattine si abbracciavamo prima di iniziare il turno di lavoro si evitavano. A lei mancava questa piccola complicità in quell’abbraccio con le colleghe a cui voleva bene.

 

La tensione diventa paura.

    La paura prendeva il sopravvento si decideva così di indire uno sciopero, ma come si fa se nessuno può organizzarlo. Alcune colleghe erano addirittura prese dal panico.

   Intanto la tv e dal 22 febbraio bombardano notizie su tutti i canali. Una vera tempesta mediatica e il panico e la paura crescono, lievitano come un impasto di farina e lievito. Notizie vere, notizie false. La tv è un pullulare di virologhi, esperti medici e purtroppo pure qualunquisti. I social come al solito spargono veleno. Il nostro presidente del Consiglio, disperato, nel mese di marzo stringe sempre di più le nostre attività ci costringe a casa. Le misure si fanno di una settimana in settimana sempre più restrittive e serrate fino al blocco quasi totale della vita produttiva e economica del Paese. Difficile fermare un Paese come il nostro, restio alle regole ma è l’unica via possibile per fermare questo piccolo mostro.

    Lei decideva di dare un taglio a tutto ciò e di accendere la tv solo alle 18.00 quando il capo della protezione civile stila il tragico bilancio dei morti e contagiati della giornata. Un triste bollettino: tutti i giorni decine di morti; si arrivava a toccare sino a 1000 morti al giorno e la curva non voleva decrescere.

 

Ai domiciliari.

    Poi verso il 23 marzo a un mese dall’inizio di tutto ciò un piccolo segno di speranza. Forse la curva massima iniziava a decrescere, ma è un piccolo spiraglio.

    Lei intanto rimaneva a casa in compagnia del marito e dei suoi splendidi gatti. Loro con la loro vivacità e la loro vitalità riuscivano a far scomparire la tristezza e la solitudine. Lei li guardava giocare, correre e rincorrersi per la casa e tutto sembrava migliore.

    La sua malattia passava in secondo piano perché al momento nessuno poteva assisterla, il virus aveva preso la priorità su tutto. Il virus si era impadronito delle esistenze di ciascuno, neanche il terrorismo era riuscito a tanto, a stravolgere le abitudini e i rapporti interpersonali.

 

La speranza.

    Sui balconi le scritte ‘tutto andrà bene’. La speranza è l’unica cosa a cui gli uomini fanno riferimento quando sono disperati. È l’unico e solo appiglio a cui aggrapparsi.

    Intanto lei guardava fuori i suoi due gatti giocare insieme liberi e felici e sorrideva felice guardandoli.


  pubblicato il 23/03/2020
  Susanna Sacchi,

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